Qualche giorno fa ho firmato la petizione “libertà per Valerie”, una donna francese di 41 anni che rischia l’ergastolo per avere ucciso il suo aguzzino. Il mostro che la violentava, la costringeva a prostituirsi, la minacciava, la picchiava e col quale Valerie ha fatto quattro figli. Una storia che al solo pensiero mi addolora. Mi fa rabbrividire e mi fa venire da vomitare. Mi chiedo come sia possibile che ancora oggi possano accadere cose di questo genere. Giusto, una persona non si uccide. Bisogna ricordare tuttavia che una persona, e una donna in particolare, la si uccide ogni giorno umiliandola, violentandola, minacciandola. Denigrandola anche davanti ai figli. Quindi Valerie è stata già uccisa. Lei da anni è già una morta. Valerie oggi ha 41 anni, ma il mostro Daniel Poletti ha iniziato ad approfittare di lei quando aveva appena 12 anni. Dopo la morte del padre di Valerie la madre si era messa con Daniel. Il mostro Daniel che ha iniziato ad approfittare della ragazzina fin da quando lei aveva 12 anni. La madre, sapeva o vedeva o sentiva e non ha mai detto nulla per paura di perdere quel bel campione di gentilezza, affettuosità e amorevolezza sia per la madre che la figlia. La madre reagisce solo quando a 17 anni la ragazza restò incinta del mostro, a quel punto la buttò fuori di casa. Valerie denunciò e il mostro finì in galera. Dopo quattro anni di carcere, lui ritorna e si riprende Valerie. Anzi, la costringe a sposarlo, fare altri figli, prostituirsi… Botte da orbi e minacce con le armi. Nel 2016 disperata lo uccide e assieme ai suoi figli riesce a nascondere il cadavere che successivamente sarà scoperto. Questa in sintesi la storia. Molto molto triste sotto tutti i punti di vista. Mi chiedo, qual è il limite massimo di sopportazione per una donna che quotidianamente per trent’anni subisce violenze di ogni tipo? Qualcuno l’ha protetta? Qualcuno si è interessato di lei, e dei suoi figli? È difficile non schierarsi a favore di Valerie. Ha ucciso e sfidato la legge, costi quel che costi, ma la sopportazione era stata tanta. Trent’anni della sua vita.
Ha ucciso, deve pagare, ma che si trovino delle vie alternative all’ergastolo per le donne che si ribellano al tunnel della violenza maschile. Pappone, violentatore, stupratore, aguzzino.
E mi ritorna alla mente una storia che sentii raccontare da giovincella. Una storia che mi colpì molto ma che non capivo fino in fondo. Carmelina, una ragazza che veniva a fare le pulizie a casa di una mia zia, improvvisamente non venne più. La ragazzina era sì molto strana, non aveva tutte le rotelle a posto diceva qualcuno, aveva qualche difficoltà a parlare, era scontrosa. Era un poco lenta. Dopo una breve indagine sul perché la ragazza non veniva a fare le faccende, si scoprì che era incinta. Nulla di che anche se in effetti era appena una ragazzina ed era… Carmelina. La cosa che non mi tornava era il fatto che il padre del nascituro fosse suo “nonno” , cioè il papà di Carmelina. Tragico. C’era dell’altro, le due donne – madre e figlia –dopo che si scoprì della gravidanza lottavano l’una contro l’altra per lo stesso uomo. Nessun commento, a distanza di tanti anni non trovo ancora un vocabolo appropriato che qualifichi l’accaduto. Può una madre comportarsi come la mamma di Valerie o di Carmelina? Stiamo parlando sempre di due donne. Come può una donna arrivare a mettersi contro la propria figlia per difendere e tenersi un uomo – marito o compagno – che ha abusato della propria figlia? A cosa sono servite tutte le nostre lotte per la libertà e l’emancipazione se a distanza di tantissimi anni succedono ancora storie così gravi? Io non ho risposte ma in quanto donne – in lotta o meno –dovremmo rifletterci sopra. Capire per poterlo spiegare alle nostre figlie e alle nostre nipoti. Oltre che ai figli e ai nipoti.